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Il coaching aziendale per aiutare l’inclusività: una intervista esclusiva alla Master Coach

Le aziende italiane sorprendentemente iniziano ad aprirsi all’inclusività, come evidenziato il Maggio scorso dal Brand Diversity Index. Una sorpresa positiva, in un anno tutt’altro che felice per i diritti civili nel Belpaese.

Come al solito, la società reale è ben distaccata dal mondo decisionale, sebbene il sospetto che si tratti di una facciata pubblicitaria o appannaggio di grosse attività è sempre un timore reale. A riguardo, per vederci più chiaro, abbiamo fatto qualche domanda a Marina Osnaghi, Master Coach dal 1990 che si occupa di coaching aziendale per tutte quelle imprese che rappresentano la filiera produttiva del Paese.

la dott.ssa Osnaghi è stata tanto gentile da affrontare dei temi che raramente dei professionisti toccano. Quindi la ringraziamo per il tempo concesso e invitiamo alla lettura tutt* in ascolto.

1. Come può il team coaching aiutare le aziende a essere più inclusive?

Il team coaching è un’attività che allena una squadra di persone con un obiettivo comune alla consapevolezza individuale e alla condivisione di competenze ed esperienze. In tal senso, può aiutare le aziende a essere più inclusive proprio a partire dallo sviluppo e dall’affermazione delle caratteristiche uniche di ciascun elemento che fa parte del team.

La valorizzazione delle qualità peculiari del singolo e il potenziamento della sua capacità di accedere alle proprie risorse e capacità personali, infatti, portano alla comprensione e al rispetto dell’altro. E da questo discende un team di individui unici che si stimano e si sostengono reciprocamente e crescono insieme nella cultura del riconoscimento e dei feedback costruttivi.

2. Le è mai capitato di avere a che fare con team di lavoro arcobaleno? Ci sono delle differenze di approccio lato coaching?

Ho avuto occasione di avere a che fare con più team di lavoro arcobaleno e l’approccio del coaching non cambia. Gli elementi chiave sono sempre l’attenzione all’individuo, la presenza – intesa come la capacità del coach di restare concentrato, empatico e attento – e il focus su ciò che accade nella squadra e nel singolo.

Il coach agisce da elemento di connessione tra le varie prospettive e utilizza le cosiddette “domande potenti” per favorire all’interno del team una comunicazioni chiara e autentica e agevolare il riconoscimento e la condivisione di obiettivi reali e sostenibili.  

L’attività di coaching valorizza anche la forza di ciascuno, nel rispetto delle fragilità personali. Queste ultime, infatti, quando vengono accettate e rispettate – superando l’attenzione all’errore a favore della ricerca della soluzione – costituiscono per il team una ricchezza straordinaria.  

3. Il coaching aziendale può aiutare a sensibilizzare sui temi sociali?

Penso che potenziare la consapevolezza dell’individuo all’attenzione e alla cura di sé e del sistema azienda – inteso come il complesso dei gruppi che lo costituiscono e dei clienti e del mercato ai quali si rivolge – sia la forma più potente di sensibilizzazione.

Il coaching aziendale promuove la presa di coscienza delle propria unicità e forza da parte del singolo e lo sviluppo di relazioni basate sulla condivisione, la partecipazione e il rispetto e in tal senso agisce (anche) sul tessuto costitutivo della società.

In quest’ottica, l’ambiente di lavoro può agire come una sorta di generatore di positività e portare un nuovo approccio – più profondo e consapevole – in tutti gli ambiti della vita quotidiana.

4. Le aziende di oggi possono essere più umane? È possibile applicare un percorso di coaching “evolutivo” a riguardo?

Le aziende di oggi devono diventare più umane per garantire la propria esistenza a lungo nel futuro. Nell’era dell’intelligenza artificiale, la consapevolezza emotiva e la forza della persona – nella sua umanità – sono la vera soluzione per un domani migliore.

Gli individui che evolvono nella consapevolezza di ciò che accade e di ciò che serve per crescere, migliorare e andare avanti generano una enorme energia di cambiamento costruttivo. E questo vale in azienda, così come in famiglia e nella collettività tutta.

5. Esiste l’equilibrio perfetto tra lavoro e vita privata? O non si devono mischiare i due mondi?

L’equilibrio perfetto esiste. Il punto sta nel capire che questo equilibrio nasce, evolve e si ricrea ogni giorno. Ciò significa che bisogna superare le “abitudini” che portano a mettere in pratica comportamenti e azioni che generano “squilibrio” negando sé stessi e i propri bisogni. 

Imparare a esprimersi autenticamente nei vari ruoli e ambiti della vita genera una serenità interiore che nutre una corroborante sensazione di benessere, anche quando i problemi permangono. L’atto di cambiare approccio interno può cambiare in meglio ciò che accade “fuori”.

In questo senso, il compito del coach è quello di accompagnare il partner di coaching o “coachee” a trovare la forza per costruire ogni giorno le soluzioni migliori e a prendere coscienza della sua personale dimensione di equilibrio.

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